CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI
Capo I - Principi generali
Articolo 1
Le regole
del presente Codice deontologico sono vincolanti
per tutti gli iscritti all’Albo degli psicologi. Lo psicologo è tenuto alla loro
conoscenza, e l’ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità
disciplinare.
Articolo 2
L’inosservanza dei precetti stabiliti nel
presente Codice deontologico, ed ogni azione od
omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio
della professione, sono punite secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1°,
della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, secondo le procedure stabilite dal
Regolamento disciplinare.
Articolo 3
Lo psicologo considera suo
dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per
promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità.
In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di
comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole,
congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale
derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire
significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare
attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici,
al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza
indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti
e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale. Lo psicologo è
responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette
conseguenze.
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo
psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza,
all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue
prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo
sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia,
nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza,
orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche
salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative
lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e
l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle
parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è
professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il
committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo
psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento
stesso.
Articolo 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello
adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina
specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria
competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha
acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo
psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i
riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente,
aspettative infondate.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente
condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il
rispetto delle norme del presente codice, e, in
assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda
la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti
psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro
applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne
ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la
piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui
competenze.
Articolo 7
Nelle proprie attività professionali, nelle
attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché
nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in relazione
al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e
fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi
interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo,
su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati
sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata ed
attendibile.
Articolo 8
Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo
della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio
1989, n. 56, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di
usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti, utilizza il proprio
titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti, e non
avalla con esso attività ingannevoli od abusive.
Articolo 9
Nella
sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente i
soggetti in essa coinvolti al fine di ottenerne il previo consenso informato,
anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale del
ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di appartenenza. Egli deve altresì
garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di rifiutare ovvero di
ritirare il consenso stesso. Nell’ ipotesi in cui la natura della ricerca non
consenta di informare preventivamente e correttamente i soggetti su taluni
aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire comunque,
alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e
di ottenere l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i
soggetti che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere
validamente il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà
genitoriale o la tutela, e, altresì, dai soggetti stessi, ove siano in grado di
comprendere la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato, in
ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non riconoscibilità
ed all’anonimato.
Articolo 10
Quando le attività professionali
hanno ad oggetto il comportamento degli animali, lo psicologo si impegna a
rispettarne la natura ed a evitare loro sofferenze.
Articolo 11
Lo
psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela
notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale,
né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno
che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo
12
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è
venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può
derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di
testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del
destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso
di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello
stesso.
Articolo 13
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di
denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto
appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela
psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità
di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza,
qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica
del soggetto e/o di terzi.
Articolo 14
Lo psicologo, nel caso di
intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad in informare, nella fase
iniziale, circa le regole che governano tale intervento. È tenuto altresì ad
impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al rispetto del diritto di
ciascuno alla riservatezza.
Articolo 15
Nel caso di collaborazione
con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, lo psicologo può
condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al
tipo di collaborazione.
Articolo 16
Lo psicologo redige le
comunicazioni scientifiche, ancorché indirizzate ad un pubblico di
professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni
caso l’anonimato del destinatario della prestazione.
Articolo
17
La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche
attraverso la custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni
di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto
professionale. Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque
anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto
previsto da norme specifiche. Lo psicologo deve provvedere perché, in caso di
sua morte o di suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega
ovvero all’Ordine professionale. Lo psicologo che collabora alla costituzione ed
all’uso di sistemi di documentazione si adopera per la realizzazione di garanzie
di tutela dei soggetti interessati.
Articolo 18
In ogni contesto
professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile
rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del
professionista cui rivolgersi.
Articolo 19
Lo psicologo che presta
la sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione è tenuto a
rispettare esclusivamente i criteri della specifica competenza, qualificazione o
preparazione, e non avalla decisioni contrarie a tali principi.
Articolo
20
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo
psicologo stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l’interesse per i
principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta
professionale.
Articolo 21
Lo psicologo, a salvaguardia
dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di strumenti
conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti
estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti
discipline psicologiche. È fatto salvo l’insegnamento agli studenti del corso di
laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie
psicologiche.
Capo II - Rapporti con l’utenza e con la
committenza
Articolo 22
Lo psicologo adotta condotte non lesive
per le persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio
ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sé o ad altri
indebiti vantaggi.
Articolo 23
Lo psicologo pattuisce nella fase
iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale. In ogni caso la
misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera. In ambito
clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati
dell’intervento professionale.
Articolo 24
Lo psicologo, nella
fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo,
all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni
adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità
delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza.
Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso
informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo,
dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo
25
Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di
valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi commissionati da terzi,
informa i soggetti circa la natura del suo intervento professionale, e non
utilizza, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano
recare ad essi pregiudizio. Nella comunicazione dei risultati dei propri
interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale
comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica dei
soggetti.
Articolo 26
Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o
dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti
personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano
inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. Lo psicologo evita, inoltre,
di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti
dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di
precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e
l’efficacia.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente
propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente
non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne
trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente
le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti
interventi.
Articolo 28
Lo psicologo evita commistioni tra il
ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività
professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della
professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi
diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le
quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale,
in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti
costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel
corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività
che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti
vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad
esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione
professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di
tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.
Articolo
29
Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla condizione che
il paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto
per fondati motivi di natura scientifico-professionale.
Articolo
30
Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata
qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni
professionali.
Articolo 31
Le prestazioni professionali a persone
minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi
esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in
assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario
l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto
ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale.
Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine
dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente
preposte.
Articolo 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una
prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dal
destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con le parti in causa
la natura e le finalità dell’intervento.
Capo III - Rapporti con i
colleghi
Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi
al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Lo
psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria
attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro
posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle
norme deontologiche.
Articolo 34
Lo psicologo si impegna a
contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare i
progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale,
anche al fine di favorirne la diffusione per scopi di benessere umano e
sociale.
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie
ricerche, lo psicologo è tenuto ad indicare la fonte degli altrui
contributi.
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare
pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla
loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi
professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro
reputazione professionale. Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi
negativi siano volti a sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi casi di
scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o
per il decoro della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva
comunicazione al Consiglio dell’Ordine competente.
Articolo 37
Lo
psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle
proprie competenze. Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario
della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo
psicologo propone la consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro
professionista.
Articolo 38
Nell’esercizio della propria attività
professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la
professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria
condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.
Capo IV -
Rapporti con la società
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo
corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce
quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo
libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
Articolo
40
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in
materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti
scorretti finalizzati al procacciamento della clientela. In ogni caso, può
essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni
professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i
costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità
del messaggio il cui rispetto è verificato dai competenti Consigli dell’Ordine.
Il messaggio deve essere formulato nel rispetto del decoro professionale,
conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine
della professione. La mancanza di trasparenza e veridicità del messaggio
pubblicizzato costituisce violazione deontologica.
Capo V - Norme di
attuazione
Articolo 41
È istituito presso la “Commissione
Deontologia” dell’Ordine degli psicologi l’“Osservatorio permanente sul Codice Deontologico”, regolamentato con apposito atto
del Consiglio Nazionale dell’Ordine, con il compito di raccogliere la
giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli regionali e provinciali
dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali proposte della
Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine, anche ai fini della revisione
periodica del Codice Deontologico. Tale revisione
si atterrà alle modalità previste dalla Legge 18 febbraio 1989, n.
56.
Articolo 42
Il presente Codice
deontologico entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla proclamazione
dei risultati del referendum di approvazione, ai sensi dell’art. 28, comma 6,
lettera c) della Legge 18 febbraio 1989, n. 56.
Per ulteriori informazioni contatta la Dott.ssa Silvia Artuso Psicologa - Psicoterapeuta
Articolo 1
Le regole
del presente Codice deontologico sono vincolanti
per tutti gli iscritti all’Albo degli psicologi. Lo psicologo è tenuto alla loro
conoscenza, e l’ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità
disciplinare.
Articolo 2
L’inosservanza dei precetti stabiliti nel
presente Codice deontologico, ed ogni azione od
omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio
della professione, sono punite secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1°,
della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, secondo le procedure stabilite dal
Regolamento disciplinare.
Articolo 3
Lo psicologo considera suo
dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per
promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità.
In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di
comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole,
congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale
derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire
significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare
attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici,
al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza
indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti
e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale. Lo psicologo è
responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette
conseguenze.
Articolo 4
Nell’esercizio della professione, lo
psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza,
all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue
prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo
sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia,
nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza,
orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche
salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative
lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e
l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle
parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è
professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il
committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo
psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento
stesso.
Articolo 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello
adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina
specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria
competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha
acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo
psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i
riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente,
aspettative infondate.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente
condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il
rispetto delle norme del presente codice, e, in
assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda
la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti
psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro
applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne
ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la
piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui
competenze.
Articolo 7
Nelle proprie attività professionali, nelle
attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché
nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in relazione
al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e
fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all’occorrenza, le ipotesi
interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo,
su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati
sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata ed
attendibile.
Articolo 8
Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo
della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio
1989, n. 56, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di
usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti, utilizza il proprio
titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti, e non
avalla con esso attività ingannevoli od abusive.
Articolo 9
Nella
sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente i
soggetti in essa coinvolti al fine di ottenerne il previo consenso informato,
anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale del
ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di appartenenza. Egli deve altresì
garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di rifiutare ovvero di
ritirare il consenso stesso. Nell’ ipotesi in cui la natura della ricerca non
consenta di informare preventivamente e correttamente i soggetti su taluni
aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l’obbligo di fornire comunque,
alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e
di ottenere l’autorizzazione all’uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i
soggetti che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere
validamente il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà
genitoriale o la tutela, e, altresì, dai soggetti stessi, ove siano in grado di
comprendere la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato, in
ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non riconoscibilità
ed all’anonimato.
Articolo 10
Quando le attività professionali
hanno ad oggetto il comportamento degli animali, lo psicologo si impegna a
rispettarne la natura ed a evitare loro sofferenze.
Articolo 11
Lo
psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela
notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale,
né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno
che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo
12
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è
venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può
derogare all’obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di
testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del
destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l’opportunità di fare uso
di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello
stesso.
Articolo 13
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di
denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto
appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela
psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità
di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza,
qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica
del soggetto e/o di terzi.
Articolo 14
Lo psicologo, nel caso di
intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad in informare, nella fase
iniziale, circa le regole che governano tale intervento. È tenuto altresì ad
impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al rispetto del diritto di
ciascuno alla riservatezza.
Articolo 15
Nel caso di collaborazione
con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, lo psicologo può
condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al
tipo di collaborazione.
Articolo 16
Lo psicologo redige le
comunicazioni scientifiche, ancorché indirizzate ad un pubblico di
professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni
caso l’anonimato del destinatario della prestazione.
Articolo
17
La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche
attraverso la custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni
di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto
professionale. Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque
anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto
previsto da norme specifiche. Lo psicologo deve provvedere perché, in caso di
sua morte o di suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega
ovvero all’Ordine professionale. Lo psicologo che collabora alla costituzione ed
all’uso di sistemi di documentazione si adopera per la realizzazione di garanzie
di tutela dei soggetti interessati.
Articolo 18
In ogni contesto
professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile
rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del
professionista cui rivolgersi.
Articolo 19
Lo psicologo che presta
la sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione è tenuto a
rispettare esclusivamente i criteri della specifica competenza, qualificazione o
preparazione, e non avalla decisioni contrarie a tali principi.
Articolo
20
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo
psicologo stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l’interesse per i
principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta
professionale.
Articolo 21
Lo psicologo, a salvaguardia
dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di strumenti
conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti
estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti
discipline psicologiche. È fatto salvo l’insegnamento agli studenti del corso di
laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie
psicologiche.
Capo II - Rapporti con l’utenza e con la
committenza
Articolo 22
Lo psicologo adotta condotte non lesive
per le persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio
ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sé o ad altri
indebiti vantaggi.
Articolo 23
Lo psicologo pattuisce nella fase
iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale. In ogni caso la
misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera. In ambito
clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati
dell’intervento professionale.
Articolo 24
Lo psicologo, nella
fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all’individuo, al gruppo,
all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni
adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità
delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza.
Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso
informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo,
dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo
25
Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di
valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi commissionati da terzi,
informa i soggetti circa la natura del suo intervento professionale, e non
utilizza, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano
recare ad essi pregiudizio. Nella comunicazione dei risultati dei propri
interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale
comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica dei
soggetti.
Articolo 26
Lo psicologo si astiene dall’intraprendere o
dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti
personali, interferendo con l’efficacia delle sue prestazioni, le rendano
inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. Lo psicologo evita, inoltre,
di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti
dell’utenza, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di
precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e
l’efficacia.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente
propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente
non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne
trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente
le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti
interventi.
Articolo 28
Lo psicologo evita commistioni tra il
ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività
professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della
professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi
diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le
quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale,
in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti
costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel
corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività
che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti
vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad
esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione
professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di
tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.
Articolo
29
Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla condizione che
il paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto
per fondati motivi di natura scientifico-professionale.
Articolo
30
Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata
qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni
professionali.
Articolo 31
Le prestazioni professionali a persone
minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi
esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in
assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario
l’intervento professionale nonché l’assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto
ad informare l’Autorità Tutoria dell’instaurarsi della relazione professionale.
Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine
dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente
preposte.
Articolo 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una
prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dal
destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con le parti in causa
la natura e le finalità dell’intervento.
Capo III - Rapporti con i
colleghi
Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi
al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Lo
psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria
attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro
posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle
norme deontologiche.
Articolo 34
Lo psicologo si impegna a
contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare i
progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale,
anche al fine di favorirne la diffusione per scopi di benessere umano e
sociale.
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie
ricerche, lo psicologo è tenuto ad indicare la fonte degli altrui
contributi.
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare
pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla
loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi
professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro
reputazione professionale. Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi
negativi siano volti a sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi casi di
scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o
per il decoro della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva
comunicazione al Consiglio dell’Ordine competente.
Articolo 37
Lo
psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle
proprie competenze. Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario
della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo
psicologo propone la consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro
professionista.
Articolo 38
Nell’esercizio della propria attività
professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la
professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria
condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.
Capo IV -
Rapporti con la società
Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo
corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce
quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo
libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
Articolo
40
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in
materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti
scorretti finalizzati al procacciamento della clientela. In ogni caso, può
essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni
professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i
costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità
del messaggio il cui rispetto è verificato dai competenti Consigli dell’Ordine.
Il messaggio deve essere formulato nel rispetto del decoro professionale,
conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine
della professione. La mancanza di trasparenza e veridicità del messaggio
pubblicizzato costituisce violazione deontologica.
Capo V - Norme di
attuazione
Articolo 41
È istituito presso la “Commissione
Deontologia” dell’Ordine degli psicologi l’“Osservatorio permanente sul Codice Deontologico”, regolamentato con apposito atto
del Consiglio Nazionale dell’Ordine, con il compito di raccogliere la
giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli regionali e provinciali
dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali proposte della
Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine, anche ai fini della revisione
periodica del Codice Deontologico. Tale revisione
si atterrà alle modalità previste dalla Legge 18 febbraio 1989, n.
56.
Articolo 42
Il presente Codice
deontologico entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla proclamazione
dei risultati del referendum di approvazione, ai sensi dell’art. 28, comma 6,
lettera c) della Legge 18 febbraio 1989, n. 56.
Per ulteriori informazioni contatta la Dott.ssa Silvia Artuso Psicologa - Psicoterapeuta
Psicologo Montebelluna Dott.ssa Silvia Artuso © 2013 Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
P.IVA: 04348370265, iscritta all'Albo degli Psicologi del Veneto n° 6064.
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